Capitolo 4 Lei Mi Ha Toccato
"Piccolo monello," scherzò Selene, tamburellando leggermente le dita sulla testa di Arthur. "Tua madre nemmeno sa chi sia tuo padre, e tu già insegui l’idea di un papà? Però una madrina pronta all’uso—non è male, no?" Sorrise, scrutando il suo volto in cerca di una reazione. Stava davvero respingendo il suo affetto?
Le labbra di Arthur si piegarono in un broncio ostinato, la sua piccola figura emanava una sfida silenziosa. "Non mi importa. La mamma ha detto che siamo qui per trovare papà!" La sua voce, seppur sottile, era ferma e decisa.
Selene non seppe resistere: si chinò in avanti e gli stampò un bacio veloce sulla guancia. "Ma queste guance—come fanno ad essere così morbide?" rise, la voce colma di tenerezza.
Gli occhi di Arthur si spalancarono per lo shock, il viso si trasformò in un’espressione di finto orrore. "Mamma, lei—lei mi ha toccato!" Si portò una mano al petto in modo teatrale, come se quel bacio fosse stato un colpo fatale.
Jessica, che aveva cresciuto suo figlio con pochissimi contatti esterni, capiva bene quella reazione spaventata. Era profondamente legato a lei, e gli estranei, al massimo, erano fonte di diffidenza.
"Un bacio e già lo chiami aggressione?" rise Selene, trovando adorabile la sua esagerazione.
Anche Jessica non poté trattenere una risata, staccando delicatamente Arthur dalle braccia di Selene. "Con le persone nuove è un po’ timido. Dagli qualche giorno e vedrai che si scioglie."
Selene sollevò un sopracciglio, le labbra piegate in un sorriso malizioso. "Va bene allora. Ti do un giorno intero per farmi piacere!" dichiarò, con tono giocoso.
Arthur sbuffò, stringendo le braccia attorno alla vita di Jessica. Il suo visetto, seppur ostinato, era irresistibilmente tenero, e il suo piccolo orgoglio brillava negli occhi.
Le due donne si scambiarono uno sguardo divertito, l’atmosfera tra loro leggera e complice. "È proprio un tipetto, il tuo," mormorò Selene con un sorriso.
Poco dopo arrivarono all’appartamento di Selene—un bilocale modesto che di solito teneva tutto per sé. Non era grande, ma era accogliente, perfetto per una persona sola.
Con Jessica e Arthur in casa, però, lo spazio sembrava finalmente una vera casa.
"Sapevo che saresti arrivata, così ho fatto scorta di ingredienti," disse Selene, lanciando loro un sorriso malizioso mentre iniziava a svuotare le borse. "Stasera cucino io—una vera cena di bentornato!"
Arthur tirò insistentemente la manica di Jessica, la voce già affamata. "Mamma, muoio di fame!"
Jessica rise piano, un sorriso caldo che le illuminava il volto. "Va bene, va bene, siediti qui a giocare mentre la tua madrina ed io prepariamo tutto."
Gli occhi di Arthur si accesero al solo pensiero del cibo, e prima che Jessica potesse fermarlo, le stampò un bacio veloce sulla guancia. "Vai pure," disse con aria birichina. "Me la cavo."
Mentre Arthur si sistemava con i suoi giochi, Selene non poté fare a meno di osservarlo. C’era qualcosa in lui—una vivacità acuta, una saggezza precoce. Era attento, prudente, interagiva solo con chi conosceva bene. Gli estranei li ignorava, come se riuscisse a vedere oltre le apparenze. Era solo un modo per tenere le distanze, o era più diffidente di quanto la sua età suggerisse?
Se lo chiese. Quel comportamento sembrava troppo consapevole per essere solo frutto dell’educazione. Forse aveva ereditato questa riservatezza dal padre—chiunque fosse?
Arthur giocava in silenzio, impilando i blocchi con una precisione concentrata mentre Jessica e Selene si infilavano in cucina, pronte a preparare la cena.
Selene lanciò un’occhiata verso il salotto prima di dare una leggera gomitata a Jessica. Abbassò la voce, quasi un sussurro carico di complicità. "Tuo figlio non ti somiglia molto," disse, un sorriso malizioso sulle labbra. "Scommetto che prende dal padre. Da come lo vedo, suo papà dev’essere proprio un bell’uomo."
Quelle parole colpirono Jessica come un fulmine a ciel sereno. Le tornò in mente l’uomo incontrato in aeroporto.
Quest’uomo emanava un’eleganza inavvicinabile, avvolto in una freddezza che lo faceva sembrare fuori posto tra la gente comune.
"Jessica? Ci sei?" Selene agitò una mano davanti al suo viso, riportandola alla realtà.
Jessica sbatté le palpebre, ancora persa nei pensieri. "Scusa, cosa dicevi?"
"Dicevo che tuo figlio deve aver preso dal padre. Quello dev’essere proprio uno che fa girare la testa." Selene sorrise, leggera e scherzosa.
Jessica sbuffò, le labbra piegate in un sorriso divertito. "Ma dai, è assurdo. È tutto sua madre!"
"Su, ammettilo," insistette Selene, la voce un po’ più pressante. "Non ti piacerebbe che suo padre fosse un tipo affascinante? Magari anche meglio di Hugh—così non avresti nulla da rimpiangere, no?"
Le parole rimasero sospese, e appena furono pronunciate, Selene se ne pentì. Si voltò e vide che l’espressione di Jessica era cambiata, il sorriso si era affievolito in qualcosa di più distante.
"Stai ancora pensando a Hugh?" La voce di Selene si fece più dolce, preoccupata.
Jessica scosse la testa piano, il sorriso ormai svanito. "No, per niente."
"Bene," rispose Selene, il tono ora più deciso. "È solo uno sciocco cieco. Fidati, non merita il tuo tempo." Prima che Jessica potesse replicare, Selene tornò a sorridere furba, un lampo di malizia negli occhi. "Ma senti, ho una bella notizia. Ho mandato il tuo curriculum e domani inizi il nuovo lavoro."
"Davvero?" Gli occhi di Jessica si spalancarono, una scintilla di sorpresa le illuminò il volto. "Così in fretta?"
"Ovviamente! Sei una designer con un nome, Jessica. Trovare un nuovo posto? Un gioco da ragazzi." Selene le fece l’occhiolino, il sorriso ancora più largo.
La mattina dopo, Jessica si avvicinò al suo nuovo posto di lavoro, il palazzo scintillante della Vertex Group che si stagliava davanti a lei. Erano passati cinque anni da quando aveva lasciato Eldoria, alla ricerca di una nuova vita a Mecria.
Dopo il parto, si era buttata anima e corpo negli studi, perfezionando le sue capacità di interior designer. Ora, davanti alla soglia di un nuovo capitolo, il cuore le batteva forte per l’emozione.
Si avvicinò alla reception, pronta a chiedere dove fosse l’ufficio del personale, quando un improvviso cambiamento nell’aria attirò la sua attenzione.
In un attimo, i dipendenti si disposero in due file ordinate, come per accogliere una processione reale. La tensione nell’aria si fece palpabile, carica di aspettativa.
Il suono delle porte di vetro che scorrevano riempì la hall, e una figura fece il suo ingresso—alta, imponente, vestita di nero. La sua sola presenza sembrava piegare l’atmosfera, irradiando potere e autorità. I lineamenti, affilati e decisi, gli conferivano l’aspetto di una statua di marmo, il volto segnato da una dignità fredda. Il modo in cui si muoveva, con una calma precisa, fece sì che il personale attorno a lui si agitasse, abbassando lo sguardo per rispetto—o forse per timore.
Jessica si voltò proprio mentre lui entrava, seguito dal suo seguito. Il respiro le si bloccò in gola quando i loro sguardi si incrociarono. No… non poteva essere. Era proprio lui.